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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Della divinazione, II, 19
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originale
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19 Aut si negas esse fortunam, et omnia, quae fiunt quaeque futura sunt, ex omni aeternitate definita dicis esse fataliter, muta definitionem divinationis, quam dicebas praesensionem esse rerum fortuitarum. Si enim nihil fieri potest, nihil accidere, nihil evenire, nisi quod ab omni aeternitate certum fuerit esse futurum rato tempore, quae potest esse fortuna? Qua sublata qui locus est divinationi, quae a te fortuitarum rerum est dicta praesensio? Quamquam dicebas omnia, quae fierent futurave essent, fato contineri. Anile sane et plenum superstitionis fati nomen ipsum; sed tamen apud Stoicos de isto fato multa dicuntur; de quo alias; nunc quod necesse est.
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traduzione
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19 Se poi neghi l'esistenza del caso, e dici che tutto ci? che avviene e che avverr? ? fatalmente determinato ab aeterno, devi mutare la tua definizione della divinazione, che, a quanto dicevi, ? il presentimento delle cose fortuite. Se nulla pu? avvenire, nulla capitare, nulla attuarsi tranne ci? che da tutta l'eternit? ? stato decretato che avverr? in un dato tempo, a che cosa si riduce il caso? E, tolto di mezzo il caso, quale spazio rimane alla divinazione, che, tu l'hai detto, ? il presentimento delle cose fortuite? ? vero che dicevi anche che tutte le cose che avvengono o avverranno sono predeterminate dal destino. Certo, la parola stessa "destino" ? una parola da vecchierelle, piena di spirito superstizioso; tuttavia tra gli stoici si parla spesso di codesto destino. Di esso discuteremo un'altra volta; ora limitiamoci allo stretto necessario.
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